Italo Inglese



POESIA: Un viaggio

Sul sentiero che porta non so dove,
zoppico.
Mi fermo ogni tanto a contemplare il paesaggio.
Qui c’è un bosco che cinge una montagna
(che mi piacerebbe scalare
se avessi ancora l’energia dei miei vent’anni
e, soprattutto, se non fossi appesantito
da una strana stanchezza,
una malattia della psiche che mi prostra).
Il bosco è certo popolato da creature bizzarre.
Più avanti intravedo un lago.
S’incunea tra le montagne
e si allarga poi nella pianura,
silenzioso e immobile.
Procedo,
ed ecco comparire una ragazza.
Ha l’aspetto di una dea dell’Olimpo,
lo sguardo di una donna che ho amato disperatamente.
Quasi la sfioro,
ma ho paura di toccarla.
Riprendo il cammino
caracollando sul selciato sconnesso.
Ora si distende dinanzi ai miei occhi l’ampia pianura.
Il cielo è terso.
Scorgo all’orizzonte una terra rigogliosa
– realtà o miraggio? –
che promette dolci ebbrezze.
Il panorama è punteggiato
di grumi di case variopinte,
frammenti di villaggi che certo ospitano piccoli tesori,
fanciulle ingenue e appassionate,
pomeriggi infiniti nel torpore dell’estate.
Attratto da un profumo di salmastro,
m’incammino su una strada costeggiata da oleandri
che avanzando perde i suoi contorni
e, a un tratto, si dissolve nella sabbia.
C’è una spiaggia rosea nel tramonto,
il mare è calmo e sussurra pigramente.
Guardando queste cose, un giorno,
mi compenetrai nella natura
e pensai di avere il mondo in pugno.
Percorro la riva a piedi nudi,
come una nuvola vagante
giungo su un’aspra landa e triste.
Qui fa freddo, degradano i colori,
angoscia e tedio ammorbano la vita.
Baracche di lamiera danno asilo
a persone senza storia e senza volto.
Mi guardan di traverso,
hanno già espresso
sentenza di condanna
sol perché sono straniero.
Impossibile scappare.
Mi afferrano, reagisco,
ma mi mancano le forze.
Non so perché i miei pugni sono privi di potenza.
Adesso mi hanno fatto prigioniero.
Vengo rinchiuso in una cella oscura
dove a stento riesco a respirare.
Ogni giorno mi danno da mangiare.
Non mi hanno ucciso e, anche se recluso,
sono grato ai miei aguzzini.
Passano gli anni, passano decenni,
perdo il conto dei giorni e memoria d’altri tempi.
La mia pelle è avvizzita,
son diventato
un vecchio debole e sciancato.
D’improvviso odo un boato
e una luce mi percuote.
Per effetto di un evento sovrumano si è squarciato
il muro della mia prigione.
Vacillando esco allo scoperto.
Tutto è cambiato:
il sole ora splende,
l’aria è fragrante.
Intorno a me prati sconfinati
dove api innocue danzano inebriate
e la lepre trova sempre nutrimento.
Un’aura nuova mi accarezza e mi riscalda,
come un balsamo lenisce i miei tormenti.
Intorno a me, serena, scorre un’altra vita.
Rivedo il benevolo sorriso di un amico,
forse persona del mio stesso sangue.
Rivedo una bambina che – ricordo –
divideva con me la sua allegria.
C’è pace intorno a me e, finalmente,
anche nel mio cuore.
Il sogno si dissolve lentamente
e tenero è il commiato.

– 06/02/2017

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