POESIA:La morte della Quercia.
Di Umberto Junior Contini
Le spiacevoli mani son scese
dal Parnasio,
solo per noi.
Per carezzarci le gote,
rassicurare le vite turbate.
Lesti ci facciam coccolare
dai morbidi calli gelati.
E nel frattempo piangiamo dolore,
siamo senz’arti.
Ce li siam rimossi
durante notti di dolore.
Come parassiti
non vogliam che le carezze
spariscano, cosi,
come sparì il più Puro vermastro,
fatto albero,
nostro Fratello,
padre di attuali pensieri.
Si sa,
neanche la dipartita degli organi ha potuto
avere il sopravvento
sulla sua Verità:
La si conosce dentro sé,
ognuno nella sua gabbia
sa di morir
cosciente.
Il Silenzio è amico di tutti,
fa rumore,
perchè è di questo che abbiam bisogno;
nelle paludi si sente odor di Amore.
Ma ora dovremmo staccarci
brutalmente
dall’utero mortuario del cadavere,
dalle mani che ci cingono le gote,
ora accaldate
dal profumo celestiale
del solo suo pensier.
E le mani dal ciel tornano
senza pietà,
e ci sentiam morti,
più di prima,
più che mai.
Spezzati in questo tempo
dalla mancanza dell’albero più saggio,
che come noi ha strisciato
in fangosi tragitti
ricolmi di anime putrefatte
e di sensazioni disagianti,
Inutilità, nostra Sorella.
La accudiamo
la sfamiamo,
ce ne prendiam cura
non ce ne separiamo.
Attaccati alla pochezza,
amorevole madre,
dello sperma di nostro Padre.
E’per questo che i pini si distrussero a vicenda,
su un terreno che inneggiava odio.
E’ per questo che la Quercia decise di appassire,
sull#039;astro del giudizio.
A mio Fratello F. T – 20/05/2018