Eva di Palma



POESIA: Epidemia di occhi chiusi

Sei ciò che c’è oltre
il punto della frase, il calcolo
che non torna alla fine
dell’equazione, indelebile
refuso delle labbra
pulito-sporco-acqua-sapone-fango, categorie
dell’intelletto abitudinario
ormai inservibili.
Il racconto domestico si fa dramma, vortice
fagocitante vissuto al ritmo
accelerato dall’assenza
di respiro, in quest’epidemia di occhi chiusi.
Sopravvivi al tuo ricordo disegnando
metafore per dire ciò che non si può
più dire, terreno di gioco per equilibristi
distratti attratti dagli anfratti
di labbra autistiche su corpi
antisismici frutto di membra
asimmetriche destinatarie di suoni
fluidi scaldati dalla pancia e sospinti
da speroni parsimoniosi, poi persi
lungo il tragitto in salita.
Ma è l’unica speranza che hai.
È l’unica esperienza che hai:
il gradino più basso del riconoscimento
sociale. Un tempo sgusciavano via,
scivolavano, le parole, troppo inconsistenti
per essere strette tra le dita. Oggi marciscono
anneriscono
imputridiscono tra impotenti colpi di reni.
Non si tratta
più di tutelarsi, di non prendere nulla
in tragico – tranne l’amore –, assistendo
impietriti al nascondersi di suoni
negletti tra piedi distratti. Si è entrati
a pieno titolo nell’epoca del cane-bambino
dove il boia e il vinto non sono più
distinguibili dalla parte migliore
dell’occhio. Forse è soltanto l’inizio
di una scomparsa totale.
– 18/01/2017

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