ramsis deif bentivoglio



POESIA: SULLE MIE SPALLE
(LEOPARDI)

Io fui giovane sì,
ma di intelletto classico e antico.
Nel corpo ferite e anomalie di un reduce di guerra,
di una aspra e forte e selvaggia guerra interiore
che moraleggiava in singolar tenzone con me!

Lottai con tutto me stesso contro la natia casa,
contestai la pigrizia e l’immobilismo paterno!
Conobbi per molti anni studio disperatissimo e rassegnazione frustrante.
Mi costruii il mio universo mondano attraverso
gli infissi dorati della mia camera-studio carceraria.

Ebbi l’amore incondizionato dei miei cari affezionati fratelli,
sterile fu l’attenzione di mia madre,
altera e assente nella sua ieraticità,
e alla soffocante possessività calai il capo sotto mio padre.
Monaldo scambiò il mio ardore per gli antichi costumi
come scusa per rinchiudermi con Omero e i suoi figli
nelle tetre stanze della biblioteca famigliare, motivo di vanto e orgoglio.
Quale orgoglio c’era nel morire un po’ alla volta nascosto al mondo?
Potevo parlare e recitare e tradurre lingue morte,
ma io amavo la vita, la bramavo ogni dì,
la desideravo come una donna indomita.

Fui accusato di insolenza e irrispettosa offesa verso i doveri dinastici e di patria,
ma la mia patria era l’Italia e non quella bigotta e menzognera Recanati,
posta tra il monte e il mare,
vorace pozzo senza fondo di spiriti liberi,
fossa fraudolenta di ignominiosa angoscia.
Può l’egoismo, camuffato da amore, condizionare la vita altrui?
Può l’odio sommergere l’urlo di strazio della mia anima
verso un anelito di indipendenza?
Il mio voler fuggire era un moto spontaneo di un corpo sano, eterico, non materico…
Il godimento, ne son convinto, è l’unico motivo di riscossa.
Non è vero che solo il dolore produce poesia,
nessuno spirito può sopravvivere all’infelicità!
Dell’amore c’è bisogno,
sublime condimento dell’eterno movimento celeste!
Non c’è tristezza che possa creare un monumento alla vita
e che non abbia i piedi instabili.
Nel fondo amaro del mio cuore c’era letizia e gioia!
Vane e scontate le menzogne gratuite apposte alla mia letteratura.
Più facile è parlare male e insozzare la nomea altrui
che ragionar sui fini di tal scrittura per coglierne il retro gusto.

Misoneista era l’epiteto sulla mia fronte!
E’ più stolto chi ambisce all’uomo meccanico,
spodestato del suo valore e genio per favorire un progresso amaro
e sfrenato o
chi vuole la libertà e la potenza personale e interiore a discapito di una veloce corsa all’oro
nel baratro sfondo di un futuro inesistente?
Se essere conservatore vuol dire essere pazzi,
ma in pace con se stessi,
allor sono il folle del villaggio,
il bagatto e l’eremita della mia vita!

Troppo semplice è giudicare gli uomini dall’aspetto.
Il mondo è già cieco senza bisogno di cavarsi gli occhi da sé,
nella notte più oscura!
Se l’anima ha preso carne e sangue e forma,
anche se questa non è sublime o eccellente nell’aspetto,
non può forse essere felice e amorosa ugualmente?
Gli stolti avevano frainteso il mio pensiero,
addebitavano al mio disagio fisico quello mentale,
compatendomi come si fa con i derelitti di vanità divina puniti.
Si può misurare l’allegrezza con la beltà?
Vi dico no! Le vuote parole sul mio stile
erano tristi come le bocche amare da cui uscivano invereconde.

Forse la disperazione, nonostante la cagionevole condizione corporale,
forse la necessità di vivere qualche tempo ancor,
mi permise di prendere il volo per l’italica penisola,
seguendo i passi di Giordani, dei molti intellettuali e attrici
e del bello e ribelle Ranieri,
mai domo di passioni e novità…
da Firenze a Mediolanum, per la turrita emiliana,
affondando lo stivale gravoso nella cloaca massima di romana memoria,
figlia dell’ingiustizia e dell’immonda ferita ecclesiastica
e infine a Napoli,
dei quartieri spagnoli e del suo eccentrico zibaldone di dolori e gioie,
all’ombra del minaccioso Vesuvio bicorno.
La sua gente, come la ginestra, muore e risorge ogni dì,
piega il capo, ma non si spezza.
Così invece è la mia schiena,
curva e sofferente sotto il peso della vita e dei suoi giudizi.
Fui felice per poco, ma anche la mia breve esistenza mi permise di toccare il cielo stellato,
almeno una volta,
mirabile miracolo di pulsante vastità.

Semmai rimarrò nei ricordi e sulle bocche nei secoli a venire,
voglio essere ricordato come amante prospero di un passato mai morto ma solo assopito,
e vorace divoratore di un futuro inviolabile,
migliore del mio e del nostro presente. – 02/03/2017

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