Antonio Casoria



POESIA: VENTO DI SCIROCCO

Si estendono allo sguardo strade sterrate
Tracciate con geometrica precisione,
vestigia sparse di vita nomade appaiono
in forma di baracche come un’allucinazione
o in brandelli di stracci smossi al vento
di un torrido scirocco d’Africa,
che con sé porta nugoli di sabbia,
sudore e il sangue di un ricordo cruento.
Vestigia di una schiavitù arcaica
Rivivono fra le dune e rabbia
Di uomini persi nel groviglio della miseria.

Il soffio rovente di questa brezza
Selvaggia spazza via tutto il Tavoliere
Come su un altopiano d’Africa italiana,
brucia di nero i volti di chi al mestiere
della fatica è costretto a piegarsi
schiavo fra i ceppi di una zappa.
Neri i volti del lavoro e della paura,
nere le mani che affondano nella terra
di questa pianura brulla e rinsecchita
che giorno dopo giorno nella guerra
eterna dell’uomo contro la natura
e dell’uomo padrone contro l’uomo servo
consuma le schiene frustate dal sole.

In questa oasi strappata al deserto
Il sole è un macigno che uccide,
e la notte l’afa si sposa col tanfo
bestiale di una stalla per uomini.

Vento di scirocco, vento di solitudine
Complice di quel viaggio disperato
Porti in questa terra braccia in catene;
trascini in queste contrade infami
con l’inganno e subdoli ricatti
i nuovi schiavi pronti a morire per noi,
infrangi col tuo turbinio estivo
il sospiro e il pianto.

Olezzo riarso, attizzi il fuoco
Che brucia, occulta, che cancella
La vergogna del delitto di aguzzini;
fra il mulinare isterico di cenere
inghiotti in un fumo acre il nulla
che l’uomo è senza la dignità;
strozzi nelle gole arse il grido
inascoltato di una ribellione vana.

Vento che spiri fra queste zolle
Di terra smosse da un sudore atavico
Tu ci riporti nelle viscere del passato,
Tu ci sospiri gli stenti, la fatica eterna
Del rito della vita che si consacra
Nel sangue famelico della terra.
Tu ci rinnovi il ricordo di anni appassiti
Di contadini schiavi, di una stagione
Morta ma viva ancora nel presente,
ci racconti una storia antica che colma
ingrata nello staio dei secoli
un’umanità oppressa in lotta
per il pane e per la vita.

Vento che occludi l’aria di afa
Ci ricordi come le stagioni non mutano
E servi di ieri sono gli schiavi di oggi,
senza volto, muti, senza patria.
La legge della terra ieri,
la legge del profitto oggi.

Così nel cuore dell’estate
Scorgi da lontano in un orizzonte
Ininterrotto quei campi di una terra
Che assorbe nel suo grembo
Tutte le sfumature del rosso.
Rosso purpureo del sangue
Pellegrino di una speranza infranta
Fra queste dune d’oasi desolata;
Rosso rabbioso del vessillo
Brandito e issato al cielo
Dalla miseria dei braccianti
Un tempo in rivolta e morti
A frotte per la giustizia;
Rosso, vermiglio, per la vergogna
Dell’indifferenza di una generazione
Ipocrita, che imbelle si volta altrove
Per non guardare e affoga
Nei riti ottusi del quotidiano,
nel nichilismo miope del debole
la volontà di spezzare le catene.
– 30/03/2017

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