Roberta Troia

POESIA: Il mollusco

Finì.

Non restò niente sotto di sè.

Si svuotò di ogni cosa preziosa

confidando nella sua comprensione.

Piovevano suoni, e carezze soavi,

e segreti

Occhi e orecchi, e mani e bocche cadevano

con le parole più dolci

sicure di essere salve.

Una volta anche le lacrime

abituate alla vita nell’ombra, anche quelle!

Volevano essere viste. E cullate.

Ma per il vento fu facile,

da sempre più forte.

Spazzò via tutto.

E finì.

Rimase un guscio vuoto.

Il mollusco abitante non fu trovato.
– 16/04/2017

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laura foria

POESIA: Insonnia di te….
TUTTO FERMO,GELIDO,TITUBANTE
TUTTO TACE ALLA TUA ASSENZA
NELLA FRENESIA SI ESPANDE LA MIA SOLITUDINE….SILENZI….PANICO…LIVIDI E DEJA-VÙ.
MI ANNIENTA L ANGOSCIA NOTTURNA,I COMIZI INTERNI,I NOSTRI RICORDI IMPOLVERATI.
FRAGILE E MALEDETTA ILLUSIONE DI UN IGNOTO SORPRENDENTE…SEI QUI. …CONGELO QUESTO SOGNO INTANTO CHE TI RESPIRO NEL VENTO. – 16/04/2017

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Giusy Lombardo

POESIA: L’ adolescenza l’ adolescenza e’ spensieratezza il mondo mi appartiene ma non so come conquistarlo. L’ adolescenza e’ confusione nessuno mi capisce! L’ adolescenza e’ una lotta continua non conosco gli ostacoli. Grazie alla mia adolescenza oggi supero la vita. – 16/04/2017

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Jana Hildebrandt

POESIA: Tutti in linea
bianchi e neri
ognuno con un nome diverso
un suono diverso
aspettano
di diventare un insieme
ognuno al posto suo ma
insieme
diventano musica, danzano,
su e giù.

(Il titolo non va specificato prima: pianoforte etico) – 16/04/2017

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Paolo De Santis

POESIA: Un cielo più che perso
Mi schiaccia l’orizzonte
Tra zolle nere e un cubo
Di nubi di carbone
E in mezzo – quasi appeso –
Tra nulla e nulla – in mezzo –
Come una bolla d’aria
O una bandiera in festa –
Come un serpente –
E in mezzo
Per me soltanto affondi
Il tuo nudo nel vento –
Per me soltanto – il nudo –
Le tue ginocchia flesse.
E vola – il tempo – e il tempo
Vola e non ne rimane. – 16/04/2017

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Donatella Vatinno

POESIA: Sentii la voglia di andare, la voglia di scappare, scoppiare, scoppiare di luce,
una luce così intensa da accecare tutti, tutte le persone rimaste abbagliate dal mio buio,
quel buio in cui ero sprofondata, in cui mi ci ero nascosta,
nascosta così bene da essermi persa, da non ritrovare più il sentiero per tornare indietro,
fino a quando non mi resi conto che non sarei dovuta tornare indietro,
era tutto davanti a me, le risposte, le voci, le mani, erano lontane, ma vicine al punto da sentirle,
le sentivo dentro di me, mi attraevano come una calamita,
e allora avanzavo, il sentiero fatto di ghiaia e siepi spinose diventava di sabbia e contornato di pini,
tutto diventava più luminoso, gli occhi ricominciavano a riflettere la luce del sole,
quel sole che mi ricaricava come fossi una batteria,
ed io ritornavo a sentirmi viva, sentivo il mio respiro più leggero e carico di ossigeno,
sentivo la mia pelle nuovamente sensibile al vento, quel vento che mi accarezzava i capelli come un padre affettuoso,
sentivo i miei piedi raffreddarsi a contatto con l’acqua gelida e limpida tipica del mare di Maggio,
allora un brivido mi risalì dal basso, si diffuse su tutto il corpo, nessun muscolo o nervo rimase illibato,
ogni millimetrica parte di me fu attraversata da una scarica elettrica,
l’elettricità della vita, una vita da ricostruire, una vita distrutta ma pronta per un nuovo inizio, nuovi capitoli, nuove emozioni, nuovi ricordi.
Fu allora che mi sentii di nuovo felice,
felice di essere sopravvissuta,
orgogliosa di aver ritrovato il sentiero nonostante la triste bellezza assuefante del buio, quel buio pulsante rimasto chiuso in un cassetto.
– 16/04/2017

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Enrico Domenico Chiara

POESIA: E’ nella notte che cerco il tuo sorriso…

1

È nella notte che cerco il tuo sorriso
non nell’illuminato cielo
del giorno
dove i colori più belli
urlano i loro segreti
e l’uno con l’altro
si confondono.
È nella notte che cerco
il tuo sorriso
dove la penombra nasconde i misteri
e il buio
avvolge tutte le cose
mentre l’avanzare nero
del cielo
inghiotte ogni bellezza
appena un poco prima esposta
al chiarore impudico
del giorno.

È nella notte che meglio si vede
ogni luce.
e ti te,
Sposa mia dolce
è nella notte
che il brillare di
quelle perle bianche
racchiuse fra le tue labbra
e di quell’altre,
nere,
avvolte nel mantello delle tue ciglia
guida il passo di questo amore
fragile e un poco impaurito
a cercare
l’intrecciarsi di dita
e di sospiri
che solo il cuore comprende
e di cui l’anima,
guardiana severa e attenta
custodisce il segreto.

2

Ho imparato parole sconosciute
parole che credevo non mie.
Come un muschio nato su una roccia
senza terra né acqua
potevo durare in eterno
bastando a me stesso
Ma ora
di te bagnato d’amore
son diventato pianta
e fiore
e di te, amor mio
il bisogno mi entra nell’anima
allungando le braccia
a cercare il tuo respiro.

3

Non c’è nulla
fuori, nella strada,
nulla che sia già scritto
dalla nostra povera mano
ma tutto
è scritto nel segno
della memoria del cielo

a noi è dato solo
di seguire il vento
e volare
e un giorno lontano
scomparire fra le nuvole
felici del nostro andare leggeri

o stare aggrappati alla terra
e morire ogni istante
per non aver osato credere
al sogno. – 16/04/2017

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Ignazio Pintus

POESIA:

La gabbia
Vedi,le sbarre segnano il confine tra il territorio e il mare,sempre così lontano.
La tazza del caffè nero è li, immobile, una sorta di risposta agli affanni.
L’aria è immobile, sospesa,incerta come questo tempo.
Mi muovo, vado in cortile, è l’ora dell’aria.
La palla rimbalza sul muro, Lo so, ho costruito questi muri e ho forgiato queste sbarre,per paura,
vigliaccheria per difendermi dalla vita,forse , per il
desiderio di casa
Un sorta di prigione
Mi sono negato lo spazio aperto, il colloquio con l’altro
Il cuore è fuori controllo .
Sento il frangersi delle onde lontane ,cupe ,Colpiscono la riva ,i porti le genti
Questo è un tempo narcisista
di business anaffettivo ,di dispregiatori,di lacrime ,usate,vendute ,
.inascoltate.
Dalla gabbia , vedo ,il cielo azzurro,
e ho già nostalgia della vita che perderò.
– 16/04/2017

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Simone Veo

POESIA: Una danza compiuta attorno ai lumi
Attraversa i miei sensi.
Erinni agghiaccianti, lucide membra,
Un tempio nascosto al sole.
La rotazione ne vela lo splendore
Lo rivela il pensiero struggente:
«Baratterai la luce con masse vuote,
E assaporerai il buio candore del tutto». – 16/04/2017

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Gemma Polonara

POESIA: ODE AD AFRODITE

Candente il Ciprio lito
e tu nascevi, o Diva,
su la spuma che bruiva.

Immote nel nimbo aurorale
son le tratte carène,
ma il sale
d’equoreo lucore arde,
tutto è tumulto
ne le sue ime vene.

Levate son le buccine a l’annunzio,
in testa all’ampia schiera va Tritone,
e recan le Cinquanta il gonfalone
de la tua rosa,
disparsa sopra il flutto
ove si posa.

Benigna arride Dòride al tuo avvento
ed il concento
è clangore de i tridenti,
è gazzarra de la prole Nerèa,
è ridda d’eglantine aulenti,
è carola dell’Ore…

Sospinge il tuo cocchio marino
Favonio con alito lène,
e danza più innanzi il delfino,
di presso alle arene.
E Irène
Ti cinge del peplo,
e Dice d’un cinto t’adorna
d’ogni malìa,
d’ogni delizia pinto,
che a te ciascuno avvince.

Intonano le ninfe un greco carme,
lesbica immortale monodìa:
“Poikilòthron athanàt’Aphròdita…”,
ché tu con sororale bonomìa
le sgravi tosto dell’ambascia avita.

E il tuo sorriso tenue circonfonde
l’isola, il mare, il monte,
ed i tuoi labbri
son cresta dell’onde,
ed il tuo crine
è coltre fine d’elettro,
e la tua iri
è acquario de le vite marine;
in te s’aduna,
tutto si raccoglie,
lo spettro vario
de le forme equoree,
e le tue ciglia cenerine
argento le assomiglia,
mentre di perla
è la conchiglia.
Cipride, Dèspina, Etèra,
esmeralda matrona
de la Primavera,
sei pei tuoi fiori Anthéia,
ma suona
per tutto il tuo nome,
o Iside, Inanna, Freia.

Noi ti vedemmo
tra mezzo agli arboreti,
noi t’ascoltammo
tra le tue piante indome:
spoglia incedevi a mezzo dei vigneti,
il mondo ravvolgevi nelle chiome;
aurei cincinni si svolgevan lieti
tra le ginocchia ed oltre, insino ai piedi,
che in seno ad una tenue asimmetria
danzavano fedeli ai fini auleti.
Oh, voluttuosa letalgìa
possiede la tua corte,
e i còri intonano un’invitta salmodìa,
levano i calici,
salutano discinti il tuo consorte!

Più tardi al rezzo avvinti giacerete,
e muti salici
vi culleranno nell’erbacea rete;
sospinti i vinchi da l’aulente brezza,
ai vostri amplessi aggiungono
la vìride carezza.

Da l’Occidente giungono
canti di ierofanti:
i tuoi devoti levano inni santi.
Son forse coribanti
e recan muni
ai tuoi divini orti,
lanfa odorosa e opime libagioni
a bendisporti.
E tu non li sconforti:
corrusca appari al sommo dei pometi,
lustra, fulgente,
più che gli adamanti;
pallente, abbacinante, tra i pianeti
riluci come il grano d’alabastro,
invitto astro.

Ma quella schiera
muta ristà di presso alle tue porte
e di lontano
solo intravede l’arcade diletto,
soltanto può accennare la preghiera;
ancor non sa
che Amor si gode ne la Pura Morte,
non sa l’aspetto
ferale
del guardiano.

Sale
il tuo lume
tuttavia nel vespro
e chino è il mondo al segno
de la tua Mano
astrale;
in ogni cosa hai posto il santo pegno
del tuo Regno Immortale.

Noi ti vedemmo
ne le pure cose:
ne la sera estivale,
ove adorezza,
tu ci apparisti
in ogni cosa eguale:
ne la sanguigna drupa
dei gravidi ciliegi,
ne i mirti regi,
nell’aureo croco,
nel mentastro che aulisce,
nei divini asfodeli,
nel gioco del vento
con gli steli,
nella cupa
guglia dei cipressi,
nel rovere possente che stormisce
e nelle messi,
solari santuari;
ne le polle ascose
tra le stoppie del botro,
tra le coppie ridenti
di giunchiglie lacustri,
tra le illustri famiglie
de i formicai,
nel coleottero che stenta
tra i sarmenti,
negli occhi vai
del baldo purosangue
e nei tardivi armenti
cui il can pastore allenta
la guardia,
perché langue.

Eri la Luna
che per tutto inargenta
le selve della vergine Cidonia,
le selve ove s’effonde l’olifante
e al suon del corno,
finché sia giorno,
vanno i veltri affannati,
fuggon le belve,
con furia Calidonia,
vanno le torme errabonde ninfali,
finché rampolli il sangue dei cinghiali,
dilacerati da l’acuta canna.
Eri nell’Orèade che s’addorme
ne la capanna,
di canapa e di manna;
eri nel Fauno che ribolle estuoso,
che nel torpore
la coglie
e subito è l’amore
tra le foglie.

Nelle vicine, nelle lontane,
nelle divine cose umane
Tu Sei.

Eri la mano
dello sposo
romano
che il flammeo dissigilla dell’amante.
Alla fanciulla hai stretto
il corsaletto,
ove scintilla
tra le pieghe il petto.
Hai fissa al negro cèrcine la spilla
della bracciante,
nello zendaletto;
serrata hai la cuffietta
del lattante,
e similmente appari
nella massaia
che mena il dì per l’aia,
e nella dama
che si diletta.
Or sei fastosa,
or grama.
Or tra i gentili,
or tra i volgari
appari.

Degli alti cercatori
sei la gloria
che fecero Tintura
la Natura.
E ognuno ignora
se sia favola o storia.

Tu sei il pinnacolo
dell’alta cattedrale,
l’eburnea fattura
de la scultura,
e lo scalpello.
Tu sei il pennello
da la criniera bruna
che pinge il nembo
e la luna
e il temporale.
Tu sei il cenacolo
rinascimentale:
o Santa!
Tu sei l’inchiostro,
il calamo,
l’aedo che decanta!
Tu sei l’auledo,
il bosso,
la Musa che cattura,
o Natura!

Nel torso molle ed umido
del fante innamorato
che tra le braccia freme
del Signore,
e pure geme,
nel grembo dolce e tumido
di quella che l’allaccia,
e pur sospira,
ne la spira d’Amore,
per esso fatto alato
ed inverato,
tu sei la viva pira.

Questi prodigi ed altri,
e mille incanti tessi!

Oh, Tutto pareva ch’io potessi
nel muto giorno
nella pura Estate!
Che mi perdessi,
senza far ritorno,
tra le sue grazie alate.
Tutto pareva ch’io bevessi
nel puro giorno
nella muta Estate!
Ed era a noi il liquore meridiano
fausto presago
del vespero esperiano.

Volgemmo dunque presti a l’Occidente,
ove intopazia
il sereno,
ove mirò morendo
l’alta Hypatia;
di là, tra i vasti colli del tuo seno,
forse vanendo,
berrem Nepente. – 16/04/2017

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