Domenico Muratore



POESIA: SPECCHIO.

“Quando le cicale regalano all’aria la loro sinfonia
il mio tempo s’arresta e la mia età si immerge
nella luce sfolgorante e consueta dei meriggi.
Io, ramarro, rondine, formica,
ad occhi chiusi rubo gli echi della vita e sprofondo,
seguendo i battiti del cuore,
in un sogno esistenziale di spazio celeste e di tempo non mio.
Gioventù evanescente,
come il brusio lieve del vento tra le foglie,
alimenta il mio spirito che si apre al bacio sfolgorante della luce,
pigramente.
Il pianto delle resine e l’ultima rugiada delle gemme
si fondono col mio sangue terrestre
e la vita fugge e ritorna con passo incessante
in questo mio tempo solenne e di fuoco.
E’ l’ora religiosa delle voci passate,
del lamento della pietra corrosa dal gelo della notte,
dell’eco grandiosa della terra
e del bisbiglio dell’immenso.
Sono, in quell’attimo,
l’oriente e l’occidente,
la luce del pensiero,
moto e silenzio,
favola e leggenda.”
Così dice il mio vecchio
quando il sole all’orizzonte regala il suo sangue al mare
per dar posto alle brulicanti ombre della sera.
Noi, simili e diversi
in quell’infinito di pietra, di acqua e di aria
vaghiamo per il sentiero esistenziale
alimentandoci di ingenuità e di esperienza,
vicendevolmente.
Talvolta leggo in quell’esistenza
la goccia sconosciuta del sudore
e offro la mia mano inesperta come culla
per percepire la potenza del lavoro.
Talvolta egli sussurra queste parole:
“ Non lo spazio è il tuo Dio…ma il tempo.
Guarda il cosmo e noi.
Ogni cosa finisce come la stagione
e ogni grazia sfolgorante si abbandona alla luce settembrina.
Vivi semplicemente!
Impara a sentire il canto dell’ulivo nel vento.
Ascolta le sue note millenarie ricche di storia semplice
e prendine le virtù con parsimonia.
Vivi il tuo tempo…semplicemente.
La tua linfa sarà l’imo profondo della terra
e le violenze dell’uomo non scalfiranno il tuo tronco
perché l’umore tiepido della terra
ti darà amore e passione per tutte le creature.
Vivi il tuo tempo semplicemente.”
Tenue, il profumo dell’ultima rosa
si espande nel campo della fanciullezza
dove un ragazzo ingenuo
vive la consuetudine dell’antica semplicità.
Farfalle abbelliscono l’aria dei loro colori
e la tiepida brezza della primavera pulisce il cielo dalle nubi
vivificando il verde ed il turchino.
In fondo, al limite dell’orizzonte
laddove l’estate cede il suo sfolgorio all’autunno,
vicino al roveto, lo incontro, vecchio,
seduto sull’antico fontanile di pietra
con lo sguardo perduto su orizzonti lontani.
Il passo dalla primavera all’autunno è breve
e sempre il mio io fanciullo
valica l’ultimo colore sfavillante dell’estate
per seguire il sonno dell’ultima gemma
vestito del bianco rosa intenso dei fiori d’acanto
con nelle vene il sangue dell’agrifoglio
pieno della sinfonia che il vento canta alla ginestra
e con le mani tese al presente.
Non vede i passeri cantare al sole la loro felicità smaniosa
ma aquile rapaci tendere imboscate ad esserini indifesi,
là, nella dimensione dell’autunno,
fuori dalla direzione del principio.
“Un dio, un dio c’è, nella libera città dell’io,
in quel piccolo tempio antico
dove il cuore e le sensazioni si espandono
come la luce fresca del mattino.
Non bisogna cercarlo nei discorsi ontologici di chi guida la fede
ma nella pietra, nell’ebbrezza che sostiene il coraggio
nel miracolo giornaliero della vita
nello spirito mobile dell’acqua
nella conoscenza di se stessi
nell’ora in cui la frizzante aria mattutina
si plasma col canto delle tortore
nella fedeltà di un cane
nel fumo dei camini e…nella libertà”
Si perverrà, forse, alla soglia del caos senza storia umana
quella stessa storia che passa sul prato del delirio.
Germogliano, qui, come gramigna
i serpenti intellettuali
che di migliaia di vite fanno polvere
e amano confondere il canto delle rane
con le lacrime di madri
che piangono i loro figli
perduti senza giusta causa.
E’ il mondo dei miei spettri di fanciullo
che grida al vento il rispetto della terra
donando alle nubi questa nenia infinita:
“fate fermare il sangue della guerra
che ha partorito pecore monche e politici alienati!
Riscoprite il suono dello zufolo che dirige gli armenti
e i libri di verità e di ingegno,
non lasciate che i vermi si alzino dalla melma dei campi
per rosicchiare l’ultimo brandello di carne che parla di un uomo.
Le bimbe appena nate non siano subito fanciulle!”
Scettico,
distillo la miseria della mia generazione
ubriacando il me stesso fanciullo.
Le virtù dell’uomo, naturali agli dei
fuggono la storia
cozzando col freddo dell’esistenza e mi distruggono.
“Devo svegliare il dio che è in me,
simulacro,
io,
di uomo perfetto.”
I segreti sospesi tra passato e futuro
non mi fanno accettare le percezioni e le vittorie
senza violenza.
Allora dico a me stesso:”sono come gli altri” e mi perdo.
Vago nel nulla e sempre pervengo alle acque quiete di uno stagno antico
in cui mi rifletto.
La mia stessa voce parla:
“tu sei il tuo io e io sono te stesso.
Io, ragione, convenzione, tuo limite.
Tu, istinto, anticonformismo, tuo infinito.
Io dipano, tu unisci.
Io ragiono, tu sogni.
Per me, il sole è massa di energia
per te è l’origine di tutte le cromie
è forza che si plasma nel canto della capinera
e nel cinguettio errante del passero affamato.
E’ forza che accende le montagne e libera la goccia fresca di rugiada.
E’ forza che regala alle mandrie il sapore dell’erba tenera.
Per me, il mare è acqua turchina
per te è culla di storia e di leggenda
genitore di artisti e pensatori
musica eterna gridata e sussurrata
quando le onde ora indolenti, ora addormentate
suonano con la sabbia la nenia eterna del moto e del silenzio.
Per me, la pietra è materia inerte
per te è lo spirito della terra
prova tangibile del mistero cosmico,
essa è così com’è sin dal principio
compagna dell’uomo e sintesi della sua stessa esistenza.”
E’, questo, il viaggio libero sul terreno vergine del mio io fanciullo.
Passo e ripasso incessantemente trovando il mio sé poeta
ricco di esperienza e vecchio come il mondo
perdendomi nel tempo e nella vita.
– 30/05/2017

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