Agnese Daffara



POESIA:
Non sarò mai così triste e sola.
Sono un’avventuriera svagata.
Non conviene mai rinunciare alle certezze
ma sono un’avventuriera, anche svagata.
Lasciare chiuse le porte apribili
non mi è possibile:
questo il mio animo turbolento e curioso
che decise di affliggermi.
Davanti alle porte chiuse non so stare,
quando spuntano lingue di fiamma
dalle serrature vuote
indosso la mia faccia impersonale
l’unica che allo specchio mi renda lecita
e abbandono quello che ho raccolto
per buttarmi nel fuoco.
Questo momento è ciò per cui vivo:
oltrepassare uno stipite ricoperta di fuoco
come un pistillo che si erge tra i petali
di un rosso papavero infiammato
e rinascere fiore dal bocciolo.
Riuscirò mai a rinunciare alla scoperta
alla sempre rinnovata creazione
quando la creazione è la musica della vita
e tutto muore nella staticità,
riuscirò ad invecchiare finalmente
depositare i petali danzanti della giovinezza
lasciandomi addomesticare da una mano di vento adulto
da un’atmosfera finalmente ferma
riempibile di voci calme
come un battito costante
come un vuoto incastrabile di altri vuoti di Lego
a rendere l’ordine dinamico
la staticità vitale
senza ritrovarmi avvilita?
Serve colmare queste giornate universitarie di turbe inutili?
Quello che soffro è essere giovane
eppure senza, come farei?
Ho bisogno di correre ed essere nuda
e che gli altri siano nudi
e che nessuno sia consapevole
o non troppo
ho bisogno che non ci siano nozioni
e che il sapere venga da dentro
ho bisogno di correre e creare in corsa
stare ferma è ciò che faccio
per questo impazzisco
non ho bisogno di una corsa fisica
di una corsa sociale nemmeno
ho bisogno di una corsa alla creazione
di poiesi,
Venere generatrice
neanche straordinariamente bella:
più triste che bella
più bella che felice.
Dopo aver perso le piste per prendere il volo
non si vola senza la terra
e dopo aver perso quella luce di neon dove stavo accucciata
dolce profumata, sempre ad occhi chiusi
dopo aver disprezzato il dato e l#039;avuto
un orgoglio da ragazzina mi ha lasciata sola
questo è un lamento tragico
Sola dentro di me per non essermi curata
Sola nell’arte per esserci annegata
Sola nella poesia per non essere riuscita a capirci abbastanza
Sola nel fisico per aver idolatrato l#039;estetica
Sola nello studio per aver adorato l#039;intuito
Sola nella vita per aver allontanato gli altri
Sola negli altri per non aver voluto esistere in loro
Sempre scostante, riluttante,
essendomi sempre negata
e distruggendomi nella mia preservazione,
avendo amato il rischio
la dissolutezza suggerita non so più se
dalla liquidità contemporanea
o dall’ardore dei miei anni
o dall’effettiva velocità con cui il tempo passa e saluta l#039;uva e poi l#039;uva muore,
mi sono sempre confusa,
forse sanguino.
Nonostante la pressione
ancora mi ostino a voler inseguire questa me selvaggia
che si oppone ai detti, ai fatti, ai pensati, ai supposti, alle supposte di pensiero.
Sono un#039;avventuriera ribelle
ma ho una bella sciarpa comprata dal marocchino
davanti all’universit�
come altre centinaia di universitarie,
che nervoso questo vestire
comunque inevitabile
e le pronunce cadenzate che dissimulano l’imbarazzo per essere parlanti nativi standard
e dunque pronunciare le parole come vanno pronunciate
in cui anche io cado vittima
come un coniglio:
veleno allo zucchero nelle trappole
gusti buoni nel fumo elettronico
soldi e consumismo ovunque
mi fido del diverso, ormai
non mi fido del diffuso
che testarda che sono
non mi va mai bene niente,
anche questo sfogarsi scrivendo
alle lezioni di linguistica
è qualcosa di già fatto
potrei essere nella testa dei ragazzi della fila dietro
Hipster/Ribelle/Annoiata
Depressa/Scrittrice
Vogliosa di attenzioni/Piena di idee
e sarei comunque oggetto di uno schema mentale precostituito
non voglio rientrare negli schemi di nessuno
voglio che tutti siano cemento fresco
dove posso imprimere il mio schema
così non mi diranno più “anche io lo faccio”
oh, nemmeno lo dirò io,
al diavolo questo egocentrismo,
ma diranno, almeno
“Tu scrivi. Che bell’idea.”
Sindrome da novità: dovrei amare la ricerca scientifica, ma odio la competizione
è inutile
sono un paradosso!
lasciatemi il privilegio di essere indecifrabile
sì, ok, ma tutti lo sono
posso essere solo io qualcosa?
Come si può essere se stessi se essere se stessi significa essere un aggregato di altri? Voglio vomitare arte nuova, mai vista, creare capolavori in corsa.
Che scaturiscano tempeste di scoperta da questi nervi della mano destra!
Non m’importa niente delle lingue slave
m’importerebbe un dato non trecento
come alle trecento diviso due
facce distratte pronte al balzo
appollaiate sui banchi
perché hanno in mano
questa bella et�
o almeno i suoi frutti liofilizzati
e appena il professore poserà il microfono
potranno scattare
e pensare prima
a come arrotolarsi la sciarpa intorno al collo
poi a lanciare uno sguardo goloso ad una persona bella
più bella delle altre,
a sistemarsi i capelli e attivare quella modalità cordiale, amichevole, solidale disposta alla condivisione
tra persone che stanno imparando a stare uguale
e si fanno forza insieme
saziandosi di nascosto della vicendevole giovinezza,
mi irrita
che ognuno costituisca un microcosmo variabile sorridente e sfuggevole
basato su quello che altri hanno deciso
sulla bellezza che altri hanno impostato
entusiasti di pettegolezzi falsamente interessanti
come chi sguazza nelle canzoni che tutti ascoltano
perché parlano di cose che tutti provano
con un accento che tutti imitano,
ma forse non capirò mai che cosa c’è di veramente sbagliato in questo
a parte che la situazione
è troppo lontana dai film francesi
e la gente
è spersonalizzata,
e le persone a cui non mi sono avvicinata
non possono parlare neanche per gioco con me
se io scrivo con la testa bassa
o comunque continuo ad aleggiare
in questa malinconia distante dall’aula
questi sguardi curiosi
che appoggerei sui dettagli senza spostarli
fino a che non ho indagato a sufficienza,
con rischio di buco.
Quei due hanno capelli belli molto,
lei è abbastanza avventuriera da stare con me
lui ha un naso stupendo
se solo non fossi così oscura
così irrimediabilmente sola.
Anche la poesia mi abbandoner�
quando mi chiederanno di spiegarla
ma alla poesia non servono i perché e i percome
i perdove nemmeno
lasciatemela essere
senza doversi parafrasare
una tigre è un felino ma è una tigre
il percome della poesia sono io
e voi siete perché e cervelli di cemento fresco
ritmati non foderati di strati di intellettualismo.
Vivere nei perché costringe alla maturit�
che costringe alla staticit�
che costringe alla chiusura
che soffoca i fuochi
coperta [sostantivo] di pile [materiale]
dell#039;ammutolire nei propri convenienti sorrisi.
Non voglio perdere la capacità di proiettare balletti selvaggi nell’aria
di arrivare tardi per cercare un quadro
sono morta, morta di ingenuit�
nervosa, accecata per la troppa luce
ma la poesia almeno, lei non chiede mai perché. – 18/12/2017

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