Frigo Vittoria



POESIA: Ritratto (di un orrore)

Un guscio vuoto, scavato,
ancorato a un letto freddo
dal sacchetto
pieno a metà di piscio e sofferenza.
Capelli neri perduti sul cuscino immacolato,
dove sono andati a finire?
Perché lasciano la tua testa,
sono forse i ratti che abbandonano la nave che affonda?
Pallidi occhi iniettati di dolore, le pupille
due pozzi neri
dilatati dalla droga.
I tuoi denti pallidi affondano
con poca forza
nelle labbra contratte,
e il respiro si mozza al ritmo dell#039;agonia.
Angoscia,
l’angoscia si tuffa nel tuo stomaco,
quel dannato demone non smette più di affondare le unghie
aguzze nelle tue carni deboli.
Ma avranno ancora sapore?
Il veleno
che scorre nelle tue vene
non le ha già fatte marcire?
Non riesco a vedere altro
che i lividi viola
che ti deturpano il ventre
una volta familiare e rassicurante
-morbido nido per noi uccellini intraprendenti-
è diventato
adesso
la tela rappresentativa
dello scempio.
Sembra quasi che il sangue scuro
sotto il velo fragile della tua pelle
voglia scrivere qualcosa,
forse un grido d’aiuto…
La vita scorre via,
fugge attraverso gli aghi indifferenti
conficcati nelle tue vene:
vedo l’essenza che risale il tubicino
trasparente
fino a sciogliersi nel sacco
rosso appeso sopra la tua testa,
macigno incombente, orribile presagio.
Non sei altro
che un cartoccetto di dolori e affanni,
con un piede da elefante e l#039;altro da scheletro,
morbida
di creme profumate
di cui ti cospargo
per sovrastare l’olezzo di morte e merda.
Essere scheletrico, diafano, moribondo,
debole e spaventoso,
dove hai nascosto mia madre?
Come hai fatto a divorarla da questo letto di ospedale? | sorgente: https://web.whatsapp.com/ – 08/02/2018

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