12 Novembre 2017
*** I GIORNI NOSTRI ***
Ero al fin di un dì come tanti,
quand’io il passato scrutavo
sui passi dei nostri antenati.
Nessun romore; quella notte,
nessun fastidio; solo
il mio pensiero
vagava tra i prodromi
del nostro destino.
«Strana, assai strana
è questa vita», mi dicevo;
«se non lo fosse,
neanche i grandi poeti
avrebbero voce»,
seguitavo, in quel buio
ove anche la follia
si confonde; si perde,
come in un manipolo
di soldati; come
nelle risa
fra un giullare e le genti;
come un’idea
che precorre la ragione.
Mi raccoglievo poi,
ancor pensoso;
«A chi fare aggravio
di questa umanità?»,
così vaneggiavo
e un barlume di quiete cercavo,
a cagion di ciò
che sovente noto,
negli ondivaghi uomini:
dai sotterfugi
alle passioni,
nei perigli e nei piaceri,
vive, muta il mondo,
fra amori e seduzioni,
nelle fole
e nelle vere parole,
vaga, fugge, e gira, gira
su se stesso,
ma per sventura
o per fortuna,
il moto suo
perpetuo non pare.
Non più assorto, a poco a poco
la silente voce tacevo,
e una vita in un sogno vivevo,
così bella, ch’esso era per certo
un sogno; ben sapevo;
così compiuta,
che nessun postumo ideale
avevo: nulla di divino.
D’improvviso tornavo;
mesto tornavo al vetusto cammino,
che tuttavia sembra sempre divino;
e come il vento sferza
i monti, dagli albori
ai vespri, quelle figure
la mente mia ripassava,
non senza un’altra impressione:
è spesso tardi per cambiare
un uomo appena nato,
e rara è l’impresa
che lo desta,
dalla sua felicità.