LUIGI CORNACCHIA LUIGI VIO (pseudonimo)



POESIA: Homo viator

Compagni, la ragione del viaggio non è questa galera:
non è la notte imbalsamata, non il ricordo rotto:
non è quest’inverno brullo dentro scatole cinesi:
chi ci condusse a stento fino all’isola dei Feaci
chi ci indusse a gettare a mare quasi zavorra il senno
chi ci spinse, amici, a ripartire insoddisfatti
oggi ci inchioda a ogni vuota immagine in cui stolti
crediamo illusi di vedere svelati i nostri volti.

Ma che cercavamo allora riottosi a ogni bussola
a curare le ferite atroci del morso di tarantola
nelle nebbie fameliche stese all’alba dei sogni?
Noi fummo a celebrare l’antico mito del ritorno
viandanti sulla strada già percorsa mille volte:
attività di bande criminali noi mastini
braccati braccavamo, rifiutati rinnegammo:
perseguivamo il losco fine di trovare noi stessi.

Imparai a disprezzare. Vomitai il mio disgusto.
Furono i colpi della sorte i miei maestri di ventura.
Ho aborrito l’altrui fragilità per ogni volta
in cui a ragione o a torto mi uccise il malinteso.
Poi però, le luci su di me ogni sera spente,
nel buio rincorrevo la mia ombra invisibile:
cercava i compagni di odissee immaginarie
questa cosa indecifrabile e sola che chiamiamo uomo.

Alle porte dell’inferno, che al paradiso sembrano prossime
stupiti ci giurammo “Amici, ce l’abbiamo fatta
per una combinazione gratuita proprio all’ultimo treno!”
credendo la salvezza una solenne congettura
le quaglie annunziarono festose il lieto evento
tra il formicolare di violenti, assassini e depravati
“Ci siamo anche noi”, arguimmo, “la fila è quella giusta!
A ogni buon conto con merito noi saremo i più redenti.”

Così scegliemmo i posti dei santi, in mezzo a quello schifo
stretti nell’estrema certezza andammo incontro al nuovo mondo
giustificandoci da soli di fronte a tanto strazio
allegammo il dolore come scriminante
noi abbiamo sofferto, l’inferno c’è già stato
allora ci cascò addosso ladra come una presa in giro
roboante per vincere la durezza delle nostre cervici
la sentenza dello “stolti fino all’ultimo non capite?”

Ma ancora la nave ripartiva animata dal buon vino
e noi giare svuotate a galleggiare nella risacca.
“Fate cristallo di ogni rigurgito di vento
che abbatte la cima delle prore adornate!
Una finestra sul mare infinito si spalanchi
e inghiotta questa trasfigurazione capovolta!”
Intanto il contorno rosa di rotte senza meta
disegnava messaggi indecifrabili tra le acque.

Attorno a linee immaginarie, segmenti di procelle
noi, deportati dalla fuga verso un placido ignoto
una teoria di perdenti fitta nell’antimateria
denudati dei cilici accettati per scommessa
notti vitree rassegnate gettammo tra le onde
“Che nessuno osi ancorare il proprio cupo destino
alle boe di questo oceano salato di vendetta
la verità vi farà schiavi di domini irreversibili!”

E quanto amore cantarono le frasi nostre randagie
dentro a basiliche giallastre a scorticare la dolcezza,
con quanto eros e insolenza furono vivaci cortigiane
di scherno a ricolmarci le comari di emozioni.
Partorivano tra lacrime di strazi le assonanze
delle note strappate dalle nostre cetre rotte:
ora restano soltanto cenotafi senza nome
lemmi controfattuali a negare la memoria.

Giunse pacata la notte di fuoco inestinguibile
Con il suo colore fosco di foreste adiacenti
Creò abissi incolmabili e regioni d’ombra
Rese fragili i colossi confutando le ragioni
“Salva, o Signore, ogni cosa a sua maniera
Il vascello invecchiato sulle secche della vita
La mantide affranta dai suoi cupi talami
Ed il principe eburneo, il più innocente di tutti”

Or dunque asseveriamo che la notte sta finendo,
sia la vostra fede salda fino al sorgere del sole:
testimoni dell’oscurità che si veste a poco a poco
dei colori profumati, sulla scena addormentata
lei ha iniziato la sua danza per ubriacarci il cuore,
infranto il guscio di paura si sta aprendo la crisalide:
chi si spegne in quella pena? chi è autore di quei gemiti?
chi travasa in quelle anfore il suo dolore innominato?

Una misura incandescente e senza tempo
risolleva i naufraghi umiliando la morte
perché grembo infinito capace di ogni vita
gli oceani si prostrano a riflettere il suo volto
esplodono gli orizzonti, brindano arcobaleni
guardate laggiù, non è frutto di miraggio
c’è un faro oscurato brilla ancora in lontananza:
un faro, una luce spenta illumina l’assenza.
– 24/01/2017

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