POESIA: Guardo quel piccolo uomo vestito con abiti da lavoro,
arrampicato sopra a una spoglia scala metallica,
intento con la sua cazzuola a fissare e ricoprire i mattoni serviti a chiudere l’ultima casa di un caro amico,
fa male e ti lascia un senso di vuoto.
Mi guardo attorno e vedo gente elegante,
c’è chi piange disperatamente e chi ha finito le lacrime,
altri cercano tra le lapidi vicine qualcosa, una foto, un nome,
un gesto utile per distrarsi e non pensare a quello che sta succedendo.
Ripenso a poco fa, fuori dalla chiesa quando attendevo il feretro,
un’atmosfera quasi irreale, tante persone presenti,
alcune parlavano tra loro, altre si guardavano attorno cercando volti noti,
altre ancora scambiavano saluti con persone sconosciute e si raccontavano
quanto bravo, onesto e giovane fosse l’amico scomparso e quanto fosse ingiusta la vita.
Poi ecco l’arrivo del piccolo corteo,
sbucano gli addetti delle pompe funebri,
che rapidamente posano la bara di legno scuro sopra a un carrello metallico,
portando il feretro dentro la chiesa.
Una volta dentro la piccola chiesa, mi accorgo di quanta gente potesse contenere,
non pensavo che potesse avere tanti amici e parenti,
mi sono sentito quasi tradito, pensavo di essere uno dei pochi e invece ero uno dei tanti.
In mezzo alla moltitudine alcuni facendosi largo tra la gente,
cercavano di avvicinarsi alle prime panche, , sforzandosi di vedere chi erano i famigliari più stretti, immaginandoli in prima fila e sicuramente, quelli con i volti distrutti dal pianto.
Poi la funzione.
Tante le parole per descrivere il mio amico come il migliore del mondo,
per raccontarci che di lui è morto solo il corpo,
ma la sua anima vivrà per sempre e forse i più sfortunati siamo noi che restiamo.
Io però stavo meglio quando eravamo assieme per bere una birra scherzando di tutto,
e parlando di progetti futuri, della sua ricerca di una casa per sua moglie e sua figlia.
Dolci figure che ora resteranno sole.
– 27/01/2017
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