Gaetano Russo



POESIA: Nell’Ora Tetra si desta l’antico nemico.
Solleva il suo calice d’ossa e sangue.
Sopra la cupa mezzanotte allunga i suoi domini,
come un re incoronato dalle ombre.
Il reame di avvizziti fanciulli
si inchina al suo passaggio.
Striscia tra i sudditi ingobbiti
il Regnante decaduto, unico servo senza padrone.
Solleva il suo calice di ossa e sangue e beve
come un vecchio ubriacone.
Il vino e il sangue, Dio e il Regnante,
brindano alla mensa del Signore.
Non giunga l’alba, non sorga il sole.
La notte è una fiera nera con un nodoso bastone.
Il sole è la triste canzone di un uomo sepolto.
E giunge infine su ali di morte.
Le ombre si addensano,
tetri spettri sulla soglia del mondo.
Il vecchio Regnante consuma il suo pasto.
Reclina il capo sul ceppo scarlatto,
le labbra socchiuse, la lingua sul petto.
Il Re decaduto spalanca le membra e squarcia il torace del nascituro,
gli artigli di pietra,
il muso di fiera.
Il sangue e il vino diventano uno, fondendosi in un respiro,
come labbra unite in un bacio.
Il petto magro sussulta,
si gonfia, riposa come una fiera sul masso.
I servi stanno a guardare
come spettri ad un funerale,
gli occhi spenti come morte lanterne.
L’antica follia sul mondo si posa,
come il sudario di una morta sposa.
Gli uccelli son morti, i tronchi spezzati,
gli amanti sul ceppo decapitati.
Una vecchia canzone risuona lontana, come una nenia da voce di strega.
Il piccolo corpo giace supino.
I servi discinti bevono il vino.
Il nuovo Sovrano si erge maestoso,
il capo cinto d’alloro.
Una giovane voce piange lontana,
si strozza, si spegne.
Una corda pende dal ramo,
il cappio dondola irrequieto.
Una strega penzola,
il collo spezzato.
Un corvo si posa distratto sul capo della megera.
Il braccio si muove di scatto,
la mano si serra sul collo piumato;
lo schiocco sommesso di un ramo spezzato.
Il tetro pennuto si accascia,
scivola lento sul capo morente e piomba sul nero fogliame.
Due occhi come fornaci lo stanno a guardare.
La morte corre veloce.
La vecchia cappella si staglia sul ventre della collina.
Un magro becchino spala la terra fischiando un allegro motivo.
La lingua accarezza le labbra smunte e saggia la bruma,
come acqua di fonte.
L’uomo sogghigna beffardo,
la morte sul viso.
Si immerge nel freddo sepolcro.
La bara si staglia sul fondo,
logora e vecchia presenza,
neonato sepolto in un ventre di terra.
Il magro becchino leva la pala e spacca i sigilli con foga inumana.
Accorto, solleva il coperchio.
Sul letto di seta riposa la sposa,
pallida come la luna.
Una bruma sottile si spande sul ventre del mondo.
Le lapidi sono in rovina,
il tempo è un amante geloso.
Il magro becchino si stende con garbo,
la mano sul ventre contratto.
La sposa l’accoglie nel gelido talamo.
La sorda campana risuona blasfema come la voce di un folle profeta.
La carne corrotta vibra d’un tratto,
la sposa si desta.
Con mani forti e fredde di morte,
strangola il vecchio becchino.
L’uomo miagola un verso strozzato,
il corpo che anela un respiro.
La sposa sorride beffarda,
la bocca rigonfia di larve.
Una tetra canzone risuona lontana.
Fetore di morte, piscio e declino.
La sposa stringe il suo amante,
l’accoglie nel petto come un bambino.
Un riso diabolico risuona giulivo.
La bara sprofonda nel ventre del mondo.
Gli amanti si stringono, le dita intrecciate, le labbra serrate.
Un ragno tesse la tela, un rospo gracida affranto.
La lapide sorda si inclina, nell’aria s’ode il clangore di un maglio.
La morte è un vecchio orologio.
– 07/02/2017

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