POESIA: L’EPITAFFIO SULLA BOTTIGLIA
Beatitudine
ti cerco e ti trovo sotto mentite spoglie.
Nelle tinozze gremite,
stantie,
tra coppe di re,
sudate, in vesti di lana, le dame
versano caste risa di piombo
dilapidando.
Assuefatti,
i pochi Superstiti del Regno non forzano più verso un lieto sipario.
Mendica un sorso alle sacre mammelle il Figlio Accecato.
Ha l’affanno, povera figura!
Prono,
a cadente sollazzo congedato,
su cime come tetti divelti
evacua una sciolta fuliggine scura.
Pregno di spruzzi
attorciglia la fame tenace e applaude svestito all’ordigno industriale,
delicato strumento di cordoglio:
il nettare di malto.
E’ l’esilio dal sontuoso banchetto?
Arretra la Notte
di colpo giovenca
e sui lidi ghiacciati si sfalda l’Estrema Tirannide.
Destituito dal Principe Inganno,
il sonno,
Palmipede d’asfalto,
ai gusci titanici si assottiglia penando:
brutale è la falce che adopera
pur se alle dolci fronde si tende
spoglia il frutto e lo avvizzisce all’immondo imminente.
Ignaro del mostro,
fato dell’Una Sventura,
ciondola il viso il Fanciullo,
smarrisce la strada e disperato poi urla:
«Divorami!
Se sono nutrimento per la TUA esile metà!
Oppure lascia che il mio danno rinvenga in taciturne spose!»
L’Esigenza Primaria ha inaridito la vicenda:
quell’inutile diverbio che l’essere scisso scambia per inappagata voglia.
Del Piacere cui stappo a vita
non rimane che l’Epitaffio appena inciso
sbiadito
su una vivida bottiglia. – 07/03/2017