antonio imparato

POESIA: possiedo un podere sconfinato
dove posso coltivare ogni genere di cosa
mi passi per la mente e tra le mani
conservo ancora quel quaderno di giorni in cui
sfogliavo sereno i tuoi pensieri.
che mente.
che campo. – 07/02/2017

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maria fiorito

POESIA: ” la pazzia”( Febbraio 2016)
Ci accorgiamo di esistere, quando ci viene a mancare qualcosa di prezioso.
In un attimo, percorriamo la nostra vità e ci rassegnamo ad un esistenza senza un fine.
I dubbi ci tormentano, ed ecco i primi sintomi di una pazzia che prima non ci apparteneva.
Fingiamo di essere felici , ma in fondo sono tanti i perchè che ci divorano, ed il logorio del tempo ci consuma.
Ci teniamo stretti la nostra libertà , ma il nostro cuore soffre di una solitudine che per orgoglio rinneghiamo.
Ecco sopraggiungere la pazzia assoluta , quella senza ritorno ,giorno dopo giorno ci aggrappiamo a quei piccoli frammenti di speranza che ci sono rimasti.
Il riflesso di un esistenza indifferete ci ha reso amari e crudeli verso noi stessi.
– 07/02/2017

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Cristian Ridolfi

POESIA: Sarai ancora a brillare, fratello – Ussita

E’ sempre là in alto il punto che guida,
sollevo lo sguardo, concentro quel punto e raccolgo la forza.
Ogn’aspetto che cambia richiede un agire tenace,
il dissesto terreno richiede una forza fondante.
Sono pochi gli ardori tenaci
esempio a seguir come sempre quel punto,
là in alto.
Un punto ospitato dal cielo
è guida al bestiame, alle foglie rivolte,
è guida al cuore di uomo.
Io sollevo lo sguardo là in alto
e fortifico l’intimo ardore.
Poi ti guardo fratello di lotta
e scopro che il tuo, a dispetto di splendido cielo,
è il vero splendore.
Sei tu che gli rendi l’azzurro,
il colore è da te che parte e dispensa,
sei tu che lo passi là in alto.
E se alterno tra il punto e i tuoi occhi
comprendo il sublime dell’uomo:
soltanto l’umana natura concepisce una lotta per amor di fratello
soltanto l’umana natura concepisce la forza d’un tenero abbraccio.
E sarà in tale stato d’amore
che lo sguardo distolgo dal cielo,
ho deciso con ferma sentenza:
più lo sguardo sarà là nel cielo
fino al dì che i tuoi occhi saranno di nuovo a brillare.
E nel mentre, il mio posto è lì accanto,
nella lotta.
Seppur tenue è il mio buon intelletto
sarà grande lo slancio del cuore.
E tenace.
E pieno d’ardore.
Pensa sempre al futuro brillante,
pensa a togliere il grigio dagl’occhi:
quel cemento al tremore ha ceduto
ma un abbraccio di lotta fraterna
è quel gesto che non sa cedimenti.
Poi quel giorno solleva per primo lo sguardo
guarda il punto d’azzurro, là in alto:
e riempito d’un pianto grintoso
col piacer del distrutto rinato
sarai ancora tu, fratello,
sarai ancora a brillare. – 07/02/2017

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Elsa Lupo

POESIA: CONCORSO POETI E POESIA
VIAGGI DI VERSI – IX EDIZIONE

Mi sveglio di soprassalto,
ti osservo mentre mi sei accanto.
Una nebbia immerge la stanza,
ma tu sei lì luminoso tra mille oggetti
come un barlume di speranza.
Mi chiedo se sto ancora sognando,
come un’ancora di salvezza
non ti tolgo di dosso lo sguardo.
Perché non so che cosa ho fatto
per meritarti e per meritare tanto,
ma tu con la tua luce
hai riparato il mio cuore infranto.
– 07/02/2017

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Alexandra Burkovich

POESIA: Non ho paura di morire senza morte.
Restituiscimi ciò che è mio
Sei cosi vicina…
Un’altra onda e ti sarò addosso
Di noi due resterà una
Chi non è nata per sopravvivere. – 07/02/2017

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BEATRICE MARCHEGIANI

POESIA: LA BELLA ADDORMENTATA

dorme un sonno di millenni
la BELLA ADDORMENTATA
nel suo letto di terra scura
segna l’orizzonte pallido
della mia terra
il profilo di roccia dura
come un’antica scultura
appena abbozzata
da un antico maestro
che ha dimenticato il sogno
di un capolavoro eterno

LA BELLA ADDORMENTATA

dorme il suo sonno di millenni
la Bella Addormentata
nel suo letto di terra scura
segna l’orizzonte pallido
della mia terra
il profilo di roccia dura
come un’antica scultura
appena abbozzata
da un antico maestro
che ha dimenticato il sogno
di un capolavoro eterno
adagiato lassù,nell’incanto
di un rosso tramonto
tra lingue di fuoco acceso
e schegge di cielo violetto
cime protese all’infinito,
merletto di creste ineguali
delimitano lo spazio irraggiungibile
eppur quotidiano e vicino
scenario divino di una terra
addormentata
dimenticata
trasognata.

– 07/02/2017

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Gaetano Russo

POESIA: Nell’Ora Tetra si desta l’antico nemico.
Solleva il suo calice d’ossa e sangue.
Sopra la cupa mezzanotte allunga i suoi domini,
come un re incoronato dalle ombre.
Il reame di avvizziti fanciulli
si inchina al suo passaggio.
Striscia tra i sudditi ingobbiti
il Regnante decaduto, unico servo senza padrone.
Solleva il suo calice di ossa e sangue e beve
come un vecchio ubriacone.
Il vino e il sangue, Dio e il Regnante,
brindano alla mensa del Signore.
Non giunga l’alba, non sorga il sole.
La notte è una fiera nera con un nodoso bastone.
Il sole è la triste canzone di un uomo sepolto.
E giunge infine su ali di morte.
Le ombre si addensano,
tetri spettri sulla soglia del mondo.
Il vecchio Regnante consuma il suo pasto.
Reclina il capo sul ceppo scarlatto,
le labbra socchiuse, la lingua sul petto.
Il Re decaduto spalanca le membra e squarcia il torace del nascituro,
gli artigli di pietra,
il muso di fiera.
Il sangue e il vino diventano uno, fondendosi in un respiro,
come labbra unite in un bacio.
Il petto magro sussulta,
si gonfia, riposa come una fiera sul masso.
I servi stanno a guardare
come spettri ad un funerale,
gli occhi spenti come morte lanterne.
L’antica follia sul mondo si posa,
come il sudario di una morta sposa.
Gli uccelli son morti, i tronchi spezzati,
gli amanti sul ceppo decapitati.
Una vecchia canzone risuona lontana, come una nenia da voce di strega.
Il piccolo corpo giace supino.
I servi discinti bevono il vino.
Il nuovo Sovrano si erge maestoso,
il capo cinto d’alloro.
Una giovane voce piange lontana,
si strozza, si spegne.
Una corda pende dal ramo,
il cappio dondola irrequieto.
Una strega penzola,
il collo spezzato.
Un corvo si posa distratto sul capo della megera.
Il braccio si muove di scatto,
la mano si serra sul collo piumato;
lo schiocco sommesso di un ramo spezzato.
Il tetro pennuto si accascia,
scivola lento sul capo morente e piomba sul nero fogliame.
Due occhi come fornaci lo stanno a guardare.
La morte corre veloce.
La vecchia cappella si staglia sul ventre della collina.
Un magro becchino spala la terra fischiando un allegro motivo.
La lingua accarezza le labbra smunte e saggia la bruma,
come acqua di fonte.
L’uomo sogghigna beffardo,
la morte sul viso.
Si immerge nel freddo sepolcro.
La bara si staglia sul fondo,
logora e vecchia presenza,
neonato sepolto in un ventre di terra.
Il magro becchino leva la pala e spacca i sigilli con foga inumana.
Accorto, solleva il coperchio.
Sul letto di seta riposa la sposa,
pallida come la luna.
Una bruma sottile si spande sul ventre del mondo.
Le lapidi sono in rovina,
il tempo è un amante geloso.
Il magro becchino si stende con garbo,
la mano sul ventre contratto.
La sposa l’accoglie nel gelido talamo.
La sorda campana risuona blasfema come la voce di un folle profeta.
La carne corrotta vibra d’un tratto,
la sposa si desta.
Con mani forti e fredde di morte,
strangola il vecchio becchino.
L’uomo miagola un verso strozzato,
il corpo che anela un respiro.
La sposa sorride beffarda,
la bocca rigonfia di larve.
Una tetra canzone risuona lontana.
Fetore di morte, piscio e declino.
La sposa stringe il suo amante,
l’accoglie nel petto come un bambino.
Un riso diabolico risuona giulivo.
La bara sprofonda nel ventre del mondo.
Gli amanti si stringono, le dita intrecciate, le labbra serrate.
Un ragno tesse la tela, un rospo gracida affranto.
La lapide sorda si inclina, nell’aria s’ode il clangore di un maglio.
La morte è un vecchio orologio.
– 07/02/2017

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Matteo De Pascalis

POESIA: Vita breve

Cresciuto in una camera oscura,
accecante come un flash
e duraturo allo stesso modo,
lungo una sola direzione, purtroppo.
Riempie la bocca, gli occhi e la testa
perso in un bacio prima e
in una scopata poi, tristemente.
Una moneta con due facce uguali,
immaginando cosa sarebbe successo,
se fosse rimasta in piedi,
almeno una volta, avrei soffiato
per farla cadere dalla parte giusta, la tua.
Rubare una foto all’Amore e tenerla lì,
per non sgualcirla, rovinarla
o bagnarla con lacrime di miele,
inutili per far crescere il seme di un Noi
mai piantato, in primavera.
Un elastico che non si rompe
per quanto possa essere tirato,
che ritorna ogni volta e
lascia segni sulle dita,
indelebili, le stesse che hanno capito,
un giorno ormai lontano,
cosa vuol dire toccare,
dopo aver accarezzato il tuo volto,
le tue labbra appena schiuse
che chiedevano un bacio ancora,
per favore.
Ridotto, chissà come e con che meriti,
ad elemosinare un pó del tuo tempo,
un pó della tua attenzione, adesso di altri,
gli stessi che una volta “non avranno nemmeno un minuto di me”,
imparagonabili, dal verbo,
a quello che era nato e adesso morto,
prima dato e adesso tolto,
a due cuori spesso racchiusi uno nell’altro.
Emozioni che vivo per due, ora,
troppe per il mio petto,
che adesso è pesante e pieno
del più doloroso punto di domanda mai scritto dalla mia inutile testa pensante che, ancora, spinge via chiunque altra perché loro non sono te,
ancora una fottuta volta
governa una mano capace di scrivere solo di te,
e follemente,
continuo ad amarti,
ti amo ogni oggi più di ogni ieri. – 07/02/2017

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