POESIA: MARCINELLE
Ricordate ancora quando partimmo?
Gli occhi allegri e il sorriso pronto,
la nostra pelle ancora bruna
figlia del sole che nei campi
bruciava gli occhi
quando all’alba, d’estate,
già sulle zolle piegava
alla fatica nostra giovinezza.
Sulle nostre mani
già grosse e dure
correva il filo impaziente
del nostro furioso coraggio:
fame e rabbia, andar via!
per dimenticare i rattoppi,
le quattro sigarette contate,
le inutili bestemmie
e i giorni vuoti buttati in piazza.
Così andammo via
stipati nei treni, come tradotta
ci portava in guerra
cercando lontano, fin lassù,
nel grigio paese d’un livido sole
i pochi soldi da avere in tasca,
una cravatta, la brillantina
e una camicia pulita il sabato sera.
“Nè cani né italiani”
era scritto sulle porte;
gente chiusa tra parole diverse,
noi sfrontati nelle “salles de bal”,
ubriachi di solitudine,
per rubare un sorriso, un “giro”,
a pallide ragazze intimorite.
Arrivammo lassù, eravamo solo carne,
braccia di giovani schiavi
in cambio di carbone.
Scendemmo fino in fondo al buio
nel pozzo che ci stringeva alla gola,
contando i giorni per tornare a casa.
La chitarra, le canzonette,
le fotografie, birra, vino
e qualche bacio non bastarono.
…Salvatore, Rocco, Felice, Attilio,
Guerrino, Santino, Donato…
Eravamo in tanti,
più di cento a morire!
Laggiù siamo rimasti per sempre,
terra nella terra,
uno vicino all’altro
per farci coraggio,
con negli occhi ancora
nuvole e sole di nostra terra antica.
Urlammo in fondo al pozzo
maledicendo il Dio
avaro dei braccianti,
l’angelo nero che ci soffocava.
In fondo ai tunnel, notte per noi,
lassù era mattina,
lasciammo giovinezza e miseria,
gli occhi allegri a bere con gli amici,
i baci e promesse scambiati nel partire.
Sognavamo di tornare,
in piazza a far romanzo
della nostra avventura.
Ma muti tornammo per sempre
e il campo ci copre ormai
dove sudammo un giorno
per contenere appena
stomaco e arsura.
Muti tornammo all’aria,
ci tolsero al buio,
era agosto in cielo,
mentre la gente urlava ai cancelli
nomi sconosciuti.
Dal fondo ci raccolsero
come sacchi di nero carbone
e tornammo poveri corpi stremati,
ancora uno all’altro vicini
nel viaggio fino a casa.
Ora in silenzio dormiamo
nei campi che conobbero
i nostri piedi nudi,
sotto gli ulivi, sulle pietre
mangiando il nostro pane.
Sognammo tutti una terra
per noi di frutti e di grano,
di figli contenti e l’amore
di chi ci volle per sempre.
Come ci chiamavamo?
…Francesco, Michele, Pasquale,
Raffaele, Angelo, Emidio…
Eravamo in tanti, più di cento.
Un giorno partimmo.
Di Luigi Massimo Bruno
25 Febbraio 2017 – 06/03/2017